Quando parliamo di economia, dobbiamo sempre considerare che l’intera Africa vale il 3% del PIL mondiale. Una proporzione assurda, se pensiamo alle potenzialità di questo continente, ricco di risorse e di forza lavoro.
Ma purtroppo in Africa avviene una sorta di corto circuito: lo sviluppo cresce, ma cresce troppo poco rispetto al grande sviluppo demografico. Più il continente si arricchisce, più persone nascono e il PIL pro capite sale di pochissimo.
Inoltre, moltissimi paesi africani rischiano di incorrere nella cosiddetta “maledizione delle ricchezze”: quando il territorio è ricchissimo di materie prime, i paesi tendono a basare la loro intera economia su un singolo prodotto della terra che può aiutarli a crescere; ma essere totalmente dipendenti da un’unica attività può rapidamente trasformarsi in una maledizione letale (la maledizione delle ricchezze, appunto).
Peggio è quando le ricchezze non vengono per nulla ridistribuite e le entrate si fermano nelle mani di pochi, che non le reinvestono in piani di sviluppo, che potrebbero contribuire alla qualità della vita delle comunità locali. Paradossalmente, nei paesi a maggior esportazione di materie prime, la corruzione e il saccheggio continuo di risorse hanno contribuito ad innalzare il livello di povertà. Gli uomini di potere accentrano il comando e le ricchezze nelle mani di pochi, la popolazione locale è sempre più in difficoltà e il sistema politico è caratterizzato da una forte corruzione.
Un altro paradosso: l’Africa è sempre stata largamente aiutata. Forse perché contemporaneamente è sempre stata terra depredata.
Ma nonostante i miliardi spesi negli aiuti, in Africa si muore ancora di fame. Molti mi chiedono spesso se abbia ancora senso aiutare.
Nelle prossime settimane cercheremo di dare una risposta efficace a questa domanda complicata.