Le elezioni europee sono vicine, i partiti ai nastri di partenza e i programmi nel buio più assoluto.
A mio avviso, come già accennato negli articoli precedenti a questo, un tema che avrebbe dovuto essere dibattuto e discusso in campagna elettorale, perché basilare e cruciale, è il ruolo dell’Europa verso l’ immigrazione. Temo, tuttavia, che l’argomento non sia stato e non verrà discusso come dovrebbe.
Per chiarire il ruolo dell’Europa su questo tema, sono partito da una premessa di metodo, ossia che l’ immigrazione si basa su un contratto: se un paese ha bisogno di immigrati, scatta il contratto.
Ho portato avanti il ragionamento chiedendomi se i paesi europei avessero bisogno e mi sono reso conto che la risposta è assolutamente positiva: l’Europa, intesa come comunità sovranazionale di 28 stati membri, ha una popolazione di circa 500 milioni di persone, la cui età media è molto alta. Questo vuol dire che in Europa ci sono molti anziani e che, quindi, ogni anno il continente avrebbe bisogno di almeno tre milioni di immigrati per sostituire tutti quei lavoratori che vanno in pensione (e si tratta di dati e conclusioni certificati dall’ONU). Di conseguenza, l’Europa avrebbe bisogno che arrivassero, entro il 2050, qualcosa come 80/100 milioni di persone.
Proseguendo con il ragionamento, arriviamo alle nascite: l’Europa non fa più figli e ha, quindi, bisogno di giovani che la innervino.
In conclusione, senza voler offendere nessun sovranista, possiamo dire che il contratto tra Europa e immigrazione è scattato e che il primo punto del contratto costituisce anche il primo problema: l’accoglienza.
Ogni paese ha la sua politica in termini di immigrazione e determina, elezioni dopo elezione, livelli differenti di accoglienza: aperta, chiusa, accogliente, respingente, con i muri, senza i muri, aprendo le braccia a coloro che arrivano sui cosiddetti barconi oppure respingendoli, spesso fino in fondo al mare. Insomma, ogni sfumatura dell’accoglienza è possibile e diversa, paese per paese, e in questi ultimi anni, quando il tema si è fatto più caldo, l’accoglienza ha assunto i colori più disparati e, a volte, impensabili.
Già a questo punto del nostro ragionamento possiamo azzardarci ad affermare che l’immigrazione non può essere un tema nazionale, ma deve essere trattato in modo sovranazionale.
Altro aspetto del contratto, non meno importante, è riservato all’integrazione: 100 milioni di nuovi arrivi, anche se spalmati in un periodo di tempo di 30 anni, non sono poca cosa su 500 milioni di abitanti.
Molti studiosi, tra cui spicca Yuval Noah Harari, autore di “Sapiens. Da animali a dei” e “Homo deus”, riflettono sull’integrazione e affermano come le difficoltà non poggino sul presupposto di volontà razzista, cioè sull’affermazione che la nostra razza è superiore rispetto a quelle degli altri sapiens più neri o più gialli (questo tema, infatti, è ormai scientificamente superato e acclarato), ma sullo scontro culturale: ciò che ci rende diversi gli uni dagli altri sono la religione, i costumi, le abitudini radicate, il riconoscimento dei diritti, il ruolo delle donne, i tipi di matrimonio, l’educazione dei figli e via enumerando.
Non più razzismo ma culturalismo, in cui, quindi, accoglienza e integrazione si basano sull’accettazione da parte degli immigrati delle nostre regole culturali.
Harari afferma che l’Europa deve
“trovare un percorso che le consenta di mantenere aperte le porte agli stranieri senza farsi destabilizzare da coloro che non condividono i nostri valori” (estratto da 21 lezioni per il XXI secolo)
Facile a dirsi ma sicuramente difficile a farsi. Tuttavia, questo è il compito dell’Europa.
Il tema principale, che abbiamo già anticipato, è che l’immigrazione deve diventare un tema europeo sovranazionale in tutte le sue forme, dal ricevimento, all’accoglienza, all’integrazione. L’Europa non può più fare la furba e delegare ai singoli paesi membri, facendo ricadere su di loro i problemi e disinteressandosene, come ha fatto finora.
Dovrà iniziare con il regolare i flussi e stabilire quanti immigrati devono arrivare e da dove. Assumendosi questa responsabilità, l’Europa aprirà un primo capitolo importante e mai realmente discusso: quello di creare una politica di rapporti con i paesi di emigrazione con regole più certe e sicure.
Questo porterà i paesi di provenienza degli immigrati a stipulare degli accordi con l’Unione Europea riguardanti la riammissione, la condivisione dei flussi, la migrazione ordinata e strutturata e obbligherà i migranti a ottenere un nulla osta europeo.
L’accordo politico dovrà necessariamente portare dei vantaggi a entrambe le parti e la contropartita per i paesi di provenienza verterà su degli interventi di sviluppo: un paese che ha sottoscritto l’accordo e si impegna a inviare migranti in modo ordinato, verrà aiutato dall’Europa con investimenti infrastrutturali.
Se questo meccanismo verrà messo in moto e mantenuto in modo virtuoso, l’Europa potrà divenire un sistema moderno di percorso che avrà la capacità di assimilare ordinatamente i milioni di miserabili di cui abbiamo estremamente bisogno.
Questa nuova logica comporta, come conseguenza, l’annullamento del trattato di Dublino, in cui si stabilisce l’appartenenza del migrante al paese di primo approdo (e personalmente, ancora non riesco a capire come l’Italia abbia potuto accettare un trattato simile, che costituisce un’aberrazione legislativa ai danni dei paesi del sud Europa).
Questa è la cornice della politica europea dell’ immigrazione. Ma è sufficiente? Per il breve termine, penso di sì; per il medio termine, proprio no.
A fine secolo avremo sulla terra 4 asiatici, 1 sudamericano, 1 occidentale (e ricco) e 4 africani. Questi ultimi sono i soli che cresceranno demograficamente da oggi al 2100, quando dei 4 miliardi di persone in più che abiteranno il pianeta, 3 miliardi saranno nati in Africa. Il continente africano dovrebbe crescere esponenzialmente dal punto di vista economico per poter sfamare tutta questa gente, pena ribellioni interne, terrorismo rinascente, migrazioni conflittuali.
Tuttavia, come abbiamo già affermato, l’Africa non potrà crescere abbastanza per sfamare tutti e questo diventerà (ed è già) anche un problema europeo. L’Europa si dovrà porre il problema immigrazione già per i prossimi 10 anni, usando tutte le sue potenzialità per strutturare un piano Marshall che dia all’Africa migliore educazione, una cooperazione controllata ed efficiente e, soprattutto, assetti democratici sostanziali, non formali e non corrotti come ora.
Gli Stati Uniti quando aiutarono l’Europa nel 1945 spesero il 10% del loro PIL federale. L’Europa non potrà fare di meno.