Considerando le potenzialità del paese analizzate negli articoli precedenti, non si può prescindere dal valutare anche i grandi ostacoli allo sviluppo del paese e i pericoli situati dietro l’angolo, principalmente riassumibili in una classe politica arretrata e ancora legata alle lotte di potere su basi etniche e in una crescita demografica difficile da gestire.
Il costante aumento della popolazione, sommato alle migrazioni interne, obbliga il paese a una rincorsa continua: non si ha il tempo di adeguare i servizi offerti al numero di abitanti e all’imponente crescita demografica. Le esigenze si sovrappongono, le strade si fermano, le città si affollano, le baraccopoli accolgono sempre più persone costrette a vivere al di sotto della soglia di povertà. Insomma, i pericoli si moltiplicano.
Il Kenya potrebbe “morire” di elefantiasi metropolitana.
Le tasse, lo abbiamo già visto, non bastano a coprire i costi dei servizi che il paese richiede a gran voce. I soldi girano, ma restano nelle mani di pochi.
C’è un termine, in inglese, che rende bene la situazione che si vive nel paese africano: “grab”, afferrare, prendere con forza, agguantare. Le persone in Kenya cercano di portare a casa il più possibile, subito, come se non ci fosse un domani. All’inizio è difficile notarlo, ma più si trascorre del tempo in Kenya, tra incontri di lavoro, uscite informali, sviluppo di progetti in collaborazione con i leader della comunità locale in cui si opera, più ci si avvicina ad una comprensione di questo atteggiamento, riconducendolo a diversi fattori come la povertà, la precedente esperienza come colonia…
E’ come essere di fronte ad uno stato mentale collettivo, la paura dei pericoli, di perdere un’occasione o un bene che domani non ci sarà più.
Questa attitudine dimostra da un lato la forte determinazione e forse ambizione di queste persone, la voglia di riscatto, il desiderio di farsi strada e di ottenere un riconoscimento economico e sociale. Se incanalata in una strategia di crescita, questa forza può tradursi in uno stimolo a fare meglio, trasferendo gli sforzi da una dimensione mentale a una dinamica di benessere più ampia, nazionale.
Nel caso contrario, rischia di essere penosa, controproducente e solo un motivo per dare meno fiducia.