Corruzione e Malgoverno: I Casi Benin e Sud Africa
maggio 16, 2019
Due episodi rilevanti hanno recentemente avuto luogo nel continente africano: le elezioni in Sud Africa e il colpo di mano antidemocratico in Benin. Andiamo con ordine.
Il Sud Africa era, fino a pochi anni fa, il paese numero uno in Africa: molti lo consideravano ormai un paese di stampo occidentale, in cui lo sviluppo era costante, il governo apparentemente democratico, gli investimenti alti e le città sulla strada per diventare vivibili. Stiamo parlando di un decennio fa, quando Mandela governava e quando Kgalema Motlanthe gli succedeva.
Con l’arrivo di Zuma, il paese si è avviato verso il disastro economico e sociale: il debito è passato dal 26% al 56%, il PIL è sceso drasticamente, circa il 40% dei giovani è disoccupato e il paese è scivolato dietro la Nigeria. In dieci anni si è consumata una tragedia, che ha avuto come conseguenza una riduzione del peso elettorale.
Alle elezioni di qualche giorno fa è stato rieletto Cyril Ramaphosa, giovane sindacalista ai tempi di Mandela, poi ricco uomo d’affari, poi uomo nuovo del ANC (il partito stato di Mandela, ora scivolato sotto il 60% e insidiato dalla Democratic Alliance, al 22%, e dalla sinistra radicale dell’Economic Freedom Fighters, al 15%). Nonostante Ramaphosa abbia basato la sua campagna elettorale sulla lotta alla corruzione e al malgoverno, e sia un uomo forte, lo scetticismo della popolazione rimane alto.
Veniamo al Benin, paese dell’Africa occidentale, incastrato tra Nigeria e Togo. In questi giorni, The Economist riporta la svolta in negativo che ha avuto luogo nel paese. Ma facciamo un passo indietro.
Nel 2016 le elezioni sono state vinte da Patrice Talon, uno dei giovani seguaci del primo presidente marxista Mathieu Kerekou in un paese moderatamente democratico.
Talon ha cambiato la legge, ha messo fuori gara l’opposizione scagliandogli addosso i soldati e ha neutralizzato il parlamento. Alle ultime elezioni a fine aprile, solo due partiti hanno avuto la possibilità di candidarsi, ed entrambi sostengono Talon, il quale, a questo punto, occuperà l’occupabile per sé e per i suoi amici, creando un’altra repubblica delle banane.
Due casi in due paesi molto differenti, per storia, importanza e grandezza, ma accomunati dal mal governo e dalla corruzione.
Nei 54 paesi che costituiscono l’Africa politica si sta notando un notevole passo indietro dalle pratiche democratiche, a favore o di dittature palesi (specie nei paesi del Nord di religione islamica) oppure di vittorie tribali (nel sub Sahara) che diventano pian piano occupazioni personali dello stato, che a sua volta viene ridotto a strumento di arricchimento personale. E quando si cerca solo questo obiettivo, è naturale che occorra alimentare la corruzione affinché gli apparati e le élite dello stato e dell’economia ne traggano il massimo vantaggio.
Quando questo avviene, il paese si impoverisce, non progredisce e trascina nel declino la maggioranza dei cittadini. Poveri, inascoltati, abbandonati.
Questo è il vero male dell’Africa e, senza una politica attiva e democratica in tutti i sensi, sembra che il continente sia condannato a continuare a essere la ruota del mondo. Lo si è visto con il declino del grande Sud Africa, lo si vedrà con il declino del piccolo e povero Benin.
Qualche speranza appare all’orizzonte, come in Etiopia con Abij Amhed e forse in Sudan, dopo la cacciata di Al- bashir. Ma spesso e purtroppo sono solo speranze, che muoiono, come in Benin.