Quando i 600.000 clandestini invisibili torneranno a casa?
febbraio 20, 2019
Quando Salvini si è insediato al Viminale (palazzone romano vicino alla stazione Termini, sede del Ministero degli Interni e anche sede di governo un tempo), una delle sue prime esternazioni è stata quella di gridare da un tetto, vestito della solita felpa del giorno, che avrebbe ripulito l’Italia dei 600.000 clandestini.
Già qualche mese dopo aveva abbassato le previsioni e si era lasciato andare a un “Ci vorranno anni per mandarli via tutti”. Frase incredibile, che contraddice il Salvini di lotta, di felpa e di tetto. Nessuno ci ha fatto caso. Pochi lo hanno preso in giro, fan e non fan. L’unico leader di peso che glielo ha ricordato qualche giorno fa è stato Berlusconi, che con una memoria straordinaria per un ottuagenario ha sibilato: “Ma non doveva mandarli via tutti? Glielo ricorderemo presto, se non fa saltare il governo”. Come a dire: “Se sta con noi chiudiamo un occhio…”.
Ma le domande che qualunque cittadino normale si dovrebbe fare sono: “Che fine faranno i 600.000 invisibili? Davvero potranno tornare a casa loro, con le buone o con le cattive?”.
Mettiamo ordine rispondendo a questa seconda domanda: la riposta è NO! Non li manderemo mai a casa. Mi spiego.
Nel 1998 ero Sottosegretario agli Interni con delega all’Immigrazione; allora i paesi con cui avevamo chiuso un accordo di riammissione erano solo quattro (Tunisia, Egitto, Marocco e Nigeria). Esattamente… come oggi. Detto in altri termini, nessuno ha mai cercato da allora, quindi da oltre 20 anni fa, di regolare il flusso di rientro. Si sono solo aggiunti gli accordi stipulati dalla Commissione europea: cinque con paesi dell’area balcanica, Albania, Bosnia- Erzegovina, Macedonia, Montenegro, Serbia; tre con l’Est Europa, Ucraina, Russia, Moldova; quattro con paesi asiatici, Hong Kong, Macao, Sri Lanka, Pakistan, oltre a quelli recenti raggiunti con Turchia e Mali.
E in vent’anni si sono succeduti 10 anni di governi di destra, con Maroni e la Lega al Viminale, e 9 anni di sinistra con il Pd al governo. Se ne è tanto parlato, ma nulla si è fatto!
L’altra domanda che potremmo farci è: “se avessimo i famosi accordi, ci sarebbe possibilità di mandare via queste persone dal territorio italiano?”. Sarebbe pressoché impossibile per varie ragioni.
Prima cosa, oggi i clandestini rimpatriati sono nell’ordine di solo qualche migliaio all’anno. Per gli altri, se fermati, dopo l’insistenza delle forze dell’ordine, viene accertata (si fa per dire) una nazionalità di appartenenza. Solitamente, un clandestino portato al consolato non viene riconosciuto dal console (uno in meno a casa loro…); gli viene sempre consegnato un foglio di via che il clandestino butta nella spazzatura appena uscito dalla stanza della questura. Altro caso: se le forze dell’ordine trovano il clandestino a delinquere, o va in galera o va in un centro di espulsione; luoghi nei quali, più o meno, avviene la stessa procedura, solo che si protrae per i mesi in cui il clandestino rimane nel centro. Poi, anche lui getta il foglio di via.
In passato, se le forze dell’ordine capivano che il clandestino era una brava persona, gli davano il permesso umanitario, che lo metteva in grado di trovare un lavoro e, all’italiana, andava tutto bene. Ora Salvini e il suo decreto sicurezza hanno cancellato questo permesso e quindi il clandestino rimane tale per sempre, ingrossando le fila degli invisibili. Che stanno arrivando al milione…
E allora?
Allora ci sono due possibilità: o fare un’ennesima grande sanatoria ammettendo tutti i clandestini ripartendo da zero (la cosiddetta “versione dell’impotenza”) oppure convivere con loro nell’illegalità, situazione che porta insicurezza e ulteriore illegalità. Che forse è quello che vogliono Salvini e compagnia, per avere sempre un nemico cui gridare contro.
Fino a che la gente non si accorgerà di essere stata presa in giro.