La storia di immigrazione e Stato è di qualche giorno fa. La riflessione di oggi.
Una giovanissima nigeriana di 20 anni di nome Faitha che risiedeva al Cara di Castelnuovo di Porto in provincia di Roma è stata dismessa dal centro e inviata a Lecce, da sola, senza documentazione sanitaria e con una gravidanza oltre termine.
Un viaggio IN TRENO che dura normalmente dalle 7 alle 11 ore, senza un amico, senza un’assistenza, senza sapere dove andava.
Chi ha accolto la giovane, nel vederla ha trasecolato e l’ha portata immediatamente in ospedale dove ha partorito. Aliya, la figlia, è nata venerdì scorso.
Il Cara di Castelnuovo è il centro richiedenti asilo e per l’immigrazione che il ministro Salvini ha deciso di far chiudere da un giorno con l’altro, mettendo in giro per l’Italia una serie di disperati asilanti al grido: “Così risparmieremo milioni”. E, dico io, aumenteremo i clandestini.
Ma nella fretta di chiudere il centro, hanno dimenticato le norme più elementari dei rapporti umani.
Come si può pensare di mettere in treno una richiedente asilo (quindi protetta da una legge dello Stato) che non parla la nostra lingua, che probabilmente, nigeriana, è scappata dalle lotte drammatiche che gravano sul nord della Nigeria dove regna Boko Haram, senza neppure una documentazione sanitaria né un’assistenza, nei giorni del parto?
Negligenza? Disinteresse? Incuria? Timore dell’ira del prefetto comandato da Salvini? Indifferenza?
Se si aprisse un’inchiesta capiremmo di chi è la responsabilità del gesto e dell’ordine, con il conseguente scarica barile italico.
Ma non importa.
Qui non è la persona che lo ha fatto, ma è lo Stato con la “S” maiuscola che lo ha permesso, anzi, lo ha originato facendo eseguire un ordine spietato.
Incurante del futuro di due esseri umani.
Uno Stato europeo di diritto democratico come il nostro non può non avere pietà. Non può essere vigliacco. Non può essere indifferente, non può essere selvaggio.
Altrimenti assomiglia molto e sempre di più a quello da cui la giovane nigeriana è fuggita.