Allarghiamo il breve ragionamento del post di qualche giorno fa: il Kenya ha grandi risorse che non sono ancora state considerate e gestite al loro massimo potenziale come il turismo, l’agricoltura e la posizione strategica in East Africa. Non ultimo, il petrolio, scoperto qualche anno fa a nord del paese, vicino al lago Turkana; un luogo affascinante ma assolutamente inospitale, caldo e desertico. Il giacimento dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – rilasciare le prime estrazioni intorno al 2025 e, a quel punto, verrà utilizzato un oleodotto di prossima costruzione che collegherà il Sud Sudan (area ricca di petrolio) al Turkana, per poi proseguire fino all’area portuale di Lamu. Questo porto strategico, voluto dai cinesi per la loro rinnovata “via della seta”, potrà aprire un nuovo capitolo nei rapporti tra Africa e Cina.
In questo caso, i benefici economici sarebbero sorprendenti: il Kenya potrebbe diventare l’hub africano da cui far partire le merci verso l’Europa e verso l’interno del continente; da semplice spedizioniere, potrebbe ambire al ruolo di programmatore delle importazioni e questo renderebbe il rapporto con il secondo Paese al mondo (primo nel commercio) più solido, duraturo ed economicamente significativo.
Si potrebbe dire una svolta: grazie al rapporto privilegiato con la Cina, il Kenya potrebbe fungere da motore trainante per altri paesi africani come Uganda, Tanzania, Ruanda, forse persino per l’Etiopia, coinvolgendo un significativo numero di persone: i paesi citati ad oggi contano circa 250 milioni di persone sul proprio territorio, e nel 2050 saranno più di 500 milioni.
Di fatto il Kenya riveste già un ruolo centrale nell’economia dell’East Africa e dell’Africa: Nairobi ospita l’aeroporto, che è l’hub più frequentato del continente, la borsa valori, che è seconda solo a Johannesburg, e il secondo quartier generale delle Nazioni Unite nel mondo, con oltre 26.000 dipendenti, per lo più stranieri. La capitale del Kenya presenta ormai una fortissima dinamicità.
Se passasse l’idea della creazione di federazioni di paesi africani, (come racconta nel suo libro “Il ritorno delle tribù” Maurizio Molinari, direttore di La Stampa,) il Kenya e Nairobi potrebbero avere l’onere e il compito di organizzare quella dell’East Africa. Il Kenya si troverebbe nelle condizioni ideali per essere a capo di un’area che parla le medesime due lingue, kiswahili e inglese, e che avrebbe la forza dei ricavi del petrolio e di un hub finanziario e produttivo.
Non dimentichiamo poi il traino delle costruzioni, il cosiddetto household: passando da Nairobi a Mombasa, si scorgono ogni mese nuovi lavori in corso. Negli ultimi 10 anni sono cresciuti palazzi che non hanno nulla da invidiare all’Europa: moderni, imponenti che ospitano uffici e centri commerciali.
I palazzi del Delta Corner a Nairobi.
Anche il settore turistico darà il proprio contributo allo sviluppo del paese: un oceano incantevole, resort da sogno, parchi ricchi di biodiversità, lodge nel bush per i safari più emozionanti, montagne che ben si prestano a trekking e camminate. Proposte diversificate per turisti di ogni genere, dai backpackers agli uomini di affari.
Il Kenya, come già sottolineato, potrebbe anche rivedere i propri investimenti in campo agricolo, tentando un potenziamento della produttività, ad esempio ampliando la superficie arabile, che secondo le ultime stime potrebbe passare dagli attuali 100.000 ettari irrigati ai potenziali 500.000; potrebbe, inoltre, rendere più efficiente la catena di distribuzione dei prodotti e organizzare in maniera più funzionale i piccoli agricoltori, ad oggi responsabili del 70% del raccolto nazionale. Lo spazio per migliorare il settore esiste ed è a portata di mano.
Infine, la tecnologia: Nairobi è l’hub tecnologico di quasi tutta l’Africa ed è il luogo dove si sono sperimentate le nuove forme tecnologiche famose in tutto il mondo (di cui abbiamo già parlato) come MPESA, MFARM, COPIA GLOBAL. La tecnologia, qui più che altrove, deve rispondere ai bisogni concreti delle persone, sicuramente diversi da quelli di un cittadino che vive a Milano e utilizza la metropolitana tutti i giorni per andare al lavoro. Lo sviluppo tecnologico ha il grande potenziale di ridurre il gap infrastrutturale e culturale, una delle speranze per l’Africa, ma già una buona certezza per il Kenya.