Un primo passo verso il futuro: la nascita di federazioni.
agosto 21, 2018
Il primo passo dei sei a cui ho pensato per creare un futuro sostenibile per l’Africa riguarda la creazioni di federazioni tra stati africani.
L’East Africa oggi è un’area che coinvolge 250 milioni di abitanti, parla una propria lingua, è attraversata dalle stesse tribù. I paesi che la compongono hanno siglato un accordo di libero scambio, ancora un po’ accidentato, ma che indica la strada: la regione orientale dell’Africa potrebbe presentarsi come una nazione unica, una delle tante federazioni, arrivando, insieme all’Etiopia, a una popolazione di circa 550 milioni. In termini demografici si tratterebbe di una forza paragonabile a quella europea. Potrebbe così negoziare condizioni diverse, e forse più favorevoli, rispetto agli altri tre blocchi africani (e possibili federazioni): sud, ovest e nord. E rispetto ai blocchi occidentali ed asiatici.
Il blocco del nord è omogeneo per la religione musulmana, lo sbocco sul Mediterraneo e l’occidentalizzazione. Una volta risolta la questione libica, il blocco potrebbe parlare in modo univoco. L’Ovest è già forte, perché la Nigeria è dominante. Se questo paese non si perdesse nella disuguaglianza potrebbe trainare paesi, alcuni dei quali sono già virtuosi. Il sud è già un blocco omogeneo: risolta la storia di Mugabe e data per scontata la rinascita del Sud Africa, è già ben posizionato ai blocchi di partenza.
I paesi palesemente non democratici rimarrebbero isolati, esclusi da queste federazioni e destinati all’irrilevanza.
Ognuno di questi blocchi parlerebbe per milioni, se non miliardi di persone. È presumibile quindi pensare che, nel breve periodo, non esisterà un’Africa sola, in grado di rappresentare i suoi interessi ad un’unica voce nel dialogo con le potenze estere.
Certo non è da escludere che possa continuare l’idea di un’Unione Africana sovra partes come interlocutore primario verso l’esterno, ma la proiezione di questa possibilità, che sulla carta ricalca i modelli occidentali, temiamo sia improbabile e lontana, come tutti i modelli “importati”.
Sembra più facile ipotizzare, invece, la possibilità che alcune realtà territorialmente vicine e politicamente in contatto possano creare delle dinamiche di dialogo comuni, costituendo interlocutori forti e credibili e riuscendo così a negoziare condizioni di mercato favorevoli per l’intero complesso dei paesi coinvolti.