LO SCENARIO POSITIVO: il possibile sviluppo africano.
agosto 17, 2018
Rimane valido il filo conduttore fin qui espresso: ogni paese africano dovrebbe elaborare soluzioni innovative nell’ambito dei bisogni e delle proprie aspettative. Il concetto in sé è piuttosto semplice; stupisce quindi come tanti innovatori, consulenti e ricercatori, restino ancorati all’idea di risolvere i problemi dei 54 paesi africani trasferendo nel continente strategie e innovazioni applicate in Occidente.
Perché invece non provare a fare tutto il contrario? MPESA vince perché pensata in Africa, per rispondere ad esigenze locali. In un contesto diverso sarebbe inutile. In Africa, invece, è ormai nel cellulare di milioni di cittadini.
Ho pensato lo scenario sostenibile in sei passi e una pregiudiziale.
Partiamo dalla pregiudiziale: se si vuole affrontare il futuro con consapevolezza, non si può prescindere dal nodo politico. Nel farlo, meglio iniziare sfatando una delle credenze più comuni: chi sta al potere incarna le peggiori doti umane, mentre la società civile ne è una vittima indifesa. Di fatto, il politico di turno è un prodotto della società che l’ha votato. Se la classe politica è corrotta, con tutta probabilità il contesto sociale è talmente assuefatto all’illegalità da non aver alzato la voce abbastanza da invertire la rotta. Allo stesso modo, se la politica è inefficace sarà un riflesso della società che amministra.
Un altro punto su cui si tende a cadere con facilità, è la generalizzazione: troppo facile parlare della politica africana, senza considerare che questa è composta da 54 paesi con governi, religioni, culture diversi. Meglio quindi arrendersi alla diversità e provare a trovare qualche cifra comune alle democrazie del continente lasciando fuori, per il momento, regimi e dittature, che caratterizzano circa 10 paesi su 54.
In termini di politica e cultura locale, forse la questione che più accomuna le realtà del continente è la forte presenza delle tribù e la loro influenza nelle decisioni a livello nazionale. In Africa spesso le persone sono spinte al voto più per appartenenza etnica o religiosa, che per effettiva condivisione di un programma politico. La cifra che le accomuna è forse quella delle micro-nazioni e delle tribù. Per questo gli stessi candidati non si impegnano più di tanto nel presentare obiettivi innovativi o politiche sociali utili per la comunità che andranno a governare in caso di vittoria. Non fanno leva sui contenuti, ma sui valori della tribù a cui appartengono.
Questo sembra, al momento, uno dei maggiori freni allo sviluppo dell’Africa. Difficile dire se verrà superato, anche se qualche esempio positivo inizia a vedersi in paesi come Ghana, Sud Africa, Kenya.
La sensazione è che i giovani si stiano muovendo, piano piano, ma con determinazione.
Al di là dei segnali in atto, la svolta africana potrà avere luogo solo se la piattaforma politica verrà ribaltata con uomini in grado di affrontare le urgenze del momento: servizi sociali carenti, sanità poco accessibile, pensioni inesistenti, un’edilizia popolare mancante, le baraccopoli abbandonate alle pressioni demografiche dei prossimi anni. Se dal panorama politico attuale emergeranno personalità in grado di dare risposte a queste esigenze di fondo, prevedendo budget utili allo sviluppo sociale e politiche di sviluppo che mettano in circolo virtuoso la potenzialità di tassare, l’Africa potrà finalmente rivedere la propria immagine e scrollarsi di dosso la povertà che tutti le attribuiscono.
Dal punto di vista europeo, un movimento socialista sarebbe il benvenuto nel continente, certo senza cadere nuovamente nell’errore di importare sovrastrutture politiche dall’Occidente, con la presunzione di calarle nel contesto locale.
Per il momento la via è ancora incerta e il futuro resta nelle mani dei giovani, che ci si augura capiscano il momento storico che stanno vivendo e sappiano formare e votare nuovi leader all’altezza del compito che li attende.