La percezione che un occidentale ha dell’Africa è spesso distorta, a volte del tutto sbagliata. Frequentemente corrisponde ad un luogo inospitale, a quel “Sud del mondo” difficile da collocare dove regnano malattie, povertà, caos e conflitti armati. Un luogo da dimenticare, teatro di movimenti terroristici degli ultimi anni e delle epidemie più temute.
Queste teorie sono aiutate in parte dall’incapacità stessa dell’Africa di raccontarsi, facendo emergere le sue caratteristiche più peculiari e i suoi talenti, dall’altra dalla superficialità con cui spesso gli occidentali affrontano il tema Africa.
A livello politico, la presenza del continente è piuttosto irrilevante: ad eccezione del Sud Africa, nessuno dei suoi Stati partecipa al G20, il banchetto dei potenti. I suoi incontri al G7 avvengono per lo più in occasione di eventi straordinari e gravissimi, come per endemiche pandemie (si pensi al caso ebola) o per problemi politici scottanti, come la gestione dei flussi migratori. I leader mondiali li invitano, raccolgono le loro riflessioni e li congedano; nei grandi organismi mondiali, come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale, pesano ben poco rispetto a quanto potrebbero. All’ONU non riescono a fare massa critica.
Tutto sommato, nonostante le difficoltà non manchino, qualcosa si sta muovendo: l’Unione Africana, ad esempio, dalla sua costituzione nel 2002, inizia a fare i suoi primi passi. Proprio quest’anno è entrato in vigore il trattato economico di libero scambio continentale, che potrebbe attrarre investimenti globali. Iniziano inoltre a formarsi diverse organizzazioni regionali e interregionali, con rispettive istituzioni, che stanno divenendo interlocutori nel panorama internazionale, rinforzando così la posizione dell’Africa verso l’esterno e creando quel movimento federale necessario a spezzettare un continente forse troppo grosso. Dopo il rallentamento economico e politico seguito alle primavere arabe del Nord Africa, si intravede nel continente un ruolo maggiore dei Paesi sub-sahariani: si pensi alla Nigeria, che in termini di PIL ha sorpassato il Sud Africa, con 574 miliardi di dollari la prima e 350 miliardi il secondo. Del resto, le materie prime, come petrolio e gas, si trovano prevalentemente nelle regioni sub-sahariane, quindi possono far diventare quei paesi dei motori di crescita.
Più in generale, però, le sue battaglie non sono conosciute nel mondo e non vengono sentite al di fuori dei suoi confini, con l’eccezione della povertà (che è l’immagine dell’Africa).
La grande lotta alla povertà, entrata ormai in tutte le case dei cittadini occidentali, complici campagne e raccolte fondi portate avanti dalle diverse ONG impegnate nel continente, è ormai la cifra dell’Africa. Foto che ritraggono bambini denutriti, minori abbandonati, case distrutte dai conflitti armati, bambini-soldato: hanno intenerito milioni di persone, diventate, negli anni, donatori. Se da una parte queste campagne non-profit sono servite a promuovere lo sviluppo di alcuni progetti utili, queste stesse dinamiche hanno contribuito a creare un’immagine dell’Africa povera a tutti i costi, in perenne difficoltà. E nell’era della globalizzazione, l’immagine è tutto.
Come avviene a livello personale, ogni continente offre al mondo una proiezione di sé: gli USA si dipingono con i simboli della ricchezza, della tecnologia e dell’egemonia; l’Europa si racconta attraverso la cultura, la democrazia e una grande forza industriale; la Cina si mostra come il nuovo protagonista globale; l’India fa di sé il paese dello sviluppo. Il Sud America sembra privo di un’identità comune, forse perché il Brasile lo ha quasi inglobato nella sua marcia progressiva verso la ricchezza.
L’immagine dell’Africa è la povertà.
Questo continente dovrà iniziare a comunicare le sue ricchezze e capacità, oltre alle debolezze. Certo, per lavorare sulla propria immagine e rivoluzionarla agli occhi delle potenze straniere, serviranno contenuti validi, proposte concrete: sarà interessante capire su cosa decideranno di puntare i leader africani per far fronte a questa sfida cruciale.