L’ Italia, come molte nazioni povere, è stata Paese di emigrazione dall’inizio del ‘900: Sud America e Nord America hanno rappresentato le ambite mete per milioni di italiani decisi a trovare fortuna lontani dalla propria terra, anche durante le due guerre. Molti ce l’hanno fatta, si sono sistemati e hanno lasciato un segno nei paesi in cui, ormai, si sentono a casa: gli italiani rappresentano in USA la terza comunità, in Argentina la prima.
Durante il boom economico gli italiani hanno smesso di lasciare il Belpaese, ma il movimento è rimasto, trasformandosi in una rotta verso il Nord e le sue città, Torino, Milano, Genova: mete industriali dove poter finalmente trovare l’opportunità di lavoro tanto desiderata.
Dopo più di un secolo, l’Italia si è infine trasformata in terra di immigrazione, accogliendo in particolare comunità dalla Romania, Albania e Marocco. Attualmente nel Paese si contano circa 5 milioni di stranieri (tra i quali, 1 milione di minori), persone ufficialmente residenti in Italia che rappresentano l’8,3% della popolazione (non il 30%, come pensano molti italiani) e che rendono il Paese più giovane, abbassando l’età media e garantendo con i propri contributi le prestazioni pensionistiche degli anziani di oggi e di domani (su circa 15 milioni di trattamenti pensionistici, solo 43.000 vanno a immigrati).
Per avere una stima reale delle presenze straniere in Italia andrebbero però sommati, ai numeri ufficiali, i richiedenti asilo, gli immigrati stagionali, le persone di passaggio, e infine gli irregolari. È difficile ottenere un valore realistico; tuttavia, possiamo affermare che, al momento ci sono tra i 400 e i 500 mila irregolari in Italia. Presenze non proprio negative, alla luce dell’andamento demografico degli ultimi decenni: nel 2050 in Italia si prevede una popolazione composta da 56 milioni di abitanti, ossia 4 milioni in meno di oggi, prevalentemente anziani. Sottraendo le presenze straniere, il totale si andrebbe ad aggirare intorno ai 40 milioni, un po’ di più della metà della popolazione odierna. Se non avessimo gli stranieri, non potremmo più gestire il nostro paese come lo facciamo ora: saremmo come una casa con soli anziani e senza figli. Tutto invecchia, niente migliora.
Una situazione per di più comune a quasi tutti i Paesi europei: senza nuovi arrivi sarebbero costretti ad una stagnazione demografica che si tradurrebbe automaticamente in un crollo economico. Non è un caso che la Merkel abbia aperto agli immigrati con forza e il suo territorio abbia scelto i profughi migliori tra i siriani, nella misura superiore al milione.
Tuttavia, la paura resta: i cittadini sono ancorati ai loro pregiudizi, vivono lo straniero come una minaccia per la perdita di lavoro, la ridotta sicurezza nelle città, la diversità religiosa. L’immigrazione diviene poi politicamente il capro espiatorio di un’instabilità sociale le cui origini andrebbero cercate altrove, come abbiamo scritto più volte, mentre i partiti xenofobi e populisti si annidano in queste paure, utilizzandole a fini elettorali.
Un esempio datato, ma da tenere in considerazione: la Lega Nord ha avuto come Ministro degli Interni per cinque anni Roberto Maroni, il quale ha gestito una legge, la Bossi-Fini, che ha reso ancor più dura l’immigrazione. Eppure, in quei 5 anni, l’Italia ha accolto il numero più alto di migranti, fino ad oggi. Cambio di opinione? Condizioni diverse? Opportunità nuove? È la politica!
E se i timori dilagavano già ai tempi delle migrazioni prevalentemente nordafricane, davanti a persone che arrivavano da Marocco, Egitto, Tunisia (tutto sommato, non troppo distanti culturalmente dalle abitudini europee), le reazioni degli anziani cittadini occidentali si stanno inasprendo adesso che gli arrivi vedono coinvolte le popolazioni dell’area sub-sahariana, specie dal West Africa (Nigeria, Guinea, Costa d’Avorio, Senegal, Camerun, Niger, e dalla fascia del Sahel), molto più frammentata per storia e tradizioni culturali.
Da quest’area, più povera e violenta, partono e partiranno persone spinte dalla ricerca di uno spazio in cui poter sopravvivere.