Si parla sempre più spesso (anzi, negli ultimi tempi, SOLAMENTE) di immigrati, sbarchi e salvataggi in mare; ma il termine in sé non basta a definire un flusso immenso di persone che lasciano il paese in cui sono nate, per le ragioni più diverse.
Sono proprio le cause all’origine delle loro partenze a definire nel maggior dettaglio la categoria a cui, più comunemente, possono essere ricondotte le persone di cui si parla tanto: i migranti, sia quelli interni (che ad oggi sono in numero superiore percentualmente) che coloro che lasciano del tutto il continente.
Il più intenso flusso migratorio è senza dubbio rappresentato dai migranti economici: persone che lasciano il proprio paese a causa delle privazioni in cui sono costrette a vivere; si muovono spinte dall’urgenza di mantenere la propria famiglia, che spesso rimane in attesa di un aiuto. Sperano in un lavoro e in migliori prospettive economiche e spesso sono i “migliori”, quelli più in gamba e più acculturati.
Ci sono poi i migranti ambientali, coloro che lasciano la propria terra, ormai inutilizzabile a causa dell’intensificarsi di problematiche legate ai cambiamenti climatici. Desertificazione, siccità, alluvioni sono solo alcune delle manifestazioni più forti di questo problema, tanto urgente quanto spesso non affrontato nelle agende dei potenti.
Infine, ci sono le vittime dei conflitti, persone che fuggono dagli orrori delle guerre che devastano il loro paese, come accade in Siria; o persone costrette ad abbandonare la propria casa perché perseguitate per motivi politici o religiosi, come accade in Somalia ed Eritrea. Tra questi profughi, molti tentano la fuga verso l’Europa, sfidando il mare o le barriere di terra nella speranza di ottenere lo status di rifugiato politico. Questa condizione viene riconosciuta dai governi occidentali attraverso un processo lungo e burocratico chiamato “diritto all’asilo”, previsto dall’ONU e riassorbito dalle normative dei singoli paesi. Nella procedura che si innesca per riconoscere o negare il diritto d’asilo, le istituzioni hanno il compito di valutare se la persona che fa domanda di protezione internazionale possieda i requisiti necessari, provenga quindi effettivamente da uno dei paesi considerati in guerra o considerati pericolosi per il mancato rispetto dei diritti umani.
Spesso la linea di demarcazione tra immigrati e richiedenti asilo è difficile da tracciare con certezza, i controlli sono lunghi e complessi al fine di evitare errori di giudizio. Solo alla fine di tale processo il profugo ottiene protezione, attraverso lo status di rifugiato.
In Italia, i recenti dati del Ministero degli Interni dimostrano che ogni tre domande di asilo due sono rigettate: circa il 60% sono immigrati economici e non politici.
Diverso è stato quanto è successo con la guerra della Siria: in questi ultimi anni milioni di persone da Damasco e Aleppo hanno attraversato a piedi mezza Europa, forzando blocchi, superando muri alzati in pochi giorni, violando trattati internazionali come quello sancito tra l’Unione Europea e la Turchia, spinti solo dalla disperazione. La foto del piccolo Aylan (il bimbo siriano raccolto senza vita sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia) ha fatto il giro del mondo, commuovendo miliardi di persone: il simbolo del rifugiato politico che non ha potuto trovare una nuova casa.
Paul Collier, uno dei maggiori teorici di immigrazione al mondo, nel suo libro “Exodus. I tabù dell’immigrazione” scrive parole più che mai attuali: «In qualsiasi società democratica il governo deve difendere gli interessi della maggioranza dei suoi cittadini, ma è anche vero e giusto che i cittadini si dovrebbero preoccupare delle fasce più bisognose della popolazione autoctona e dei paesi più poveri del mondo».
L’esperto presenta in questo senso anche un’importante premessa metodologica: sugli immigrati le discussioni vanno avanti ormai attraverso scontri tra forze politiche e il ragionamento sembra perduto. «La battaglia sulle politiche migratorie – specifica Collier – si è trasformata in uno scontro di valori piuttosto che in un confronto di dati verificabili. […] Le posizioni sono polarizzate e ogni campo accetterà soltanto le argomentazioni e i dati che avallano i propri pregiudizi».
Pregiudizi e scontro di valori. Un esempio su tutti, il muro al confine con il Messico che il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, vorrebbe dopo che gli Usa, per decenni, hanno beneficiato della mano d’opera messicana a basso costo e nonostante il 10% degli americani (circa 40 milioni) sia di origini messicane.
Collier afferma che il senso di responsabilità verso i poveri e la paura del nazionalismo becero possono aver contribuito ad alimentare la confusione in merito al diritto dei paesi di imporre restrizioni all’immigrazione.
Nel suo lavoro, Paul Collier cerca anche di contestualizzare alcuni benefici derivanti dai processi di migrazione: per il paese da cui il migrante parte, la scelta di spostarsi verso un’area potenzialmente più ricca di opportunità incarna il futuro, quello su cui la sua comunità investe soldi e speranze. L’intera comunità riceverà un supporto economico significativo una volta che la persona migrante, stabilizzatasi all’estero, potrà inviare a casa parte del suo stipendio. Non è un caso che i primi a partire dai paesi del Nord Africa siano spesso giovani uomini in salute: l’intero villaggio contribuisce a coprire il costo della tratta verso l’Europa, considerando questa dinamica non come la partenza di un singolo, ma come un investimento per il futuro della loro stessa comunità. Basta dare uno sguardo ai dati sulle rimesse per capire quanta verità ci sia in questo meccanismo.
Secondo Collier i processi migratori sono flussi naturali e, così come il semplice mangiare, è del tutto inutile chiedersi se siano positivi o negativi. Sono gli eccessi a preoccupare: così come ingerire troppi alimenti può portare all’obesità, allo stesso modo un tasso di emigrazione eccessivo può creare tensioni e problemi da non sottovalutare.
Resta però da analizzare e valutare con estrema attenzione le cause alla base di questa accelerata dei movimenti migratori, senza pregiudizi ideologici.