I dati analizzati fino ad ora restituiscono un’immagine preoccupante: nei prossimi decenni un’ampia fetta della popolazione africana rischia di non avere un’occupazione.
Speriamo di esserci sbagliati completamente (ne saremmo oltremodo felici); ma la linea di tendenza sembra essere proprio quella di una carenza occupazionale di enorme portata sulla quale sarebbe opportuno mettere la testa in termini più strategici, invece di usare solo tatticismo, un palliativo per rassicurare l’opinione pubblica.
La situazione demografica del continente africano, come abbiamo ripetuto più volte, subirà un’impennata e il numero di persone disoccupate nel continente africano andrà, quindi, ad aggravarsi in modo esponenziale. Viene quindi spontaneo chiedersi cosa faranno tutte queste persone costrette a condizioni di vita instabili: SCEGLIERANNO DI RESTARE NEL LORO PAESE, LOTTANDO PER UN MINIMO DI OCCUPAZIONE, O AL CONTRARIO, SPINTI DAL RICHIAMO DELLA GLOBALIZZAZIONE, CERCHERANNO DI COSTRUIRE UN FUTURO LONTANO DA CASA? MIGRERANNO QUINDI DENTRO L’AFRICA O FUORI DAL CONTINENTE?
Non è semplice dare una risposta a queste domande, ma può risultare utile partire dal contesto e da alcuni dati concreti che, se pur non esaustivi, tentano di chiarire le condizioni alla base di questo flusso, apparentemente inarrestabile, di persone.
Partiamo, ad esempio, dalla distribuzione di ricchezza e povertà nel mondo.
Nel documento “Global Wealth Report”, la cui pubblicazione annuale viene sostenuta dalla banca Credit Suisse, emergono orizzonti inquietanti: l’Africa rappresenta solo l’1% di tutta la ricchezza a livello mondiale. Un cittadino in media, nel continente africano, guadagna oggi circa 1.800 dollari l’anno, contro i 50.000 dollari guadagnati da un cittadino medio negli USA o i 35.000/40.000 dollari l’anno che spettano invece in media ad un cittadino in Europa. Solo il 6% delle persone residenti in Africa guadagna abbastanza da sforare la soglia dei 10.000 dollari annui. Il 94% non supera questo tetto. E solo 136 adulti in tutto il continente possono essere definiti miliardari, rispetto a 14.000 americani.
La prospettiva non migliora se si osservano le percentuali dei paesi più poveri, come mostra la tabella Credit Suisse Global Wealth, dove è ancora l’Africa ad essere protagonista con Congo, Tanzania, Kenya, Nigeria ai primi posti di povertà. Ma la problematica supera i confini africani: a livello mondiale le disuguaglianze non sono certo sparite, anzi.
La ricchezza del mondo continua ad essere in mano a pochi: 33 milioni di persone adulte (sottolineiamo ADULTE, perché lo studio di Credit Suisse è elaborato solo sulle persone in età di lavoro), lo 0,7% della popolazione mondiale controlla circa il 46% della ricchezza globale.
“The Global Wealth Pyramid” mostra in proporzione i livelli di distribuzione: subito sotto la fascia più stretta e ricca emerge una seconda fascia di 391 milioni di adulti che possiedono il 40% della ricchezza. Sotto di loro, una terza fascia di circa 1 miliardo di adulti si spartiscono l’11,6%. La fetta più consistente, circa 3 miliardi e mezzo di adulti alla base della piramide, si dividono ciò che resta: il 2,7%, praticamente il nulla; e sono quasi tutti africani.
L’Africa sembra ancora rivestire un ruolo del tutto marginale nella distribuzione della ricchezza, e per quanto possa migliorare nel breve periodo con una classe politica nuova che tenti il riscatto dalla corruzione, migliorando alcuni settori produttivi, nel medio e lungo periodo resterà un continente povero.
Non mancheranno certo alcune nicchie di ricchezza, così come non verrà ignorata la nuova classe media, ma si tratterà comunque di qualche decina di milioni di persone, che rappresenteranno dinamiche trascurabili, considerate insieme alla curva demografica e ai trend di avanzamento dell’automazione.