I rischi sociali derivanti dall’avanzamento della robotica iniziano a essere considerati anche dai paesi del G20.
I cittadini del futuro vivranno in un mondo dinamico e in continua evoluzione tecnologica, non potranno più svolgere un lavoro identico per quarant’anni di seguito, ma al contrario entreranno a far parte di un sistema continuativo di apprendimento, cambiando diversi lavori e imparando a svolgere diverse attività, seguendo apprendistati realizzati ad hoc.
Jerry Kaplan, professore di Filosofia e Intelligenza Artificiale alla Stanford University, ha già iniziato ad ipotizzare qualche possibile rimedio: ha immaginato un “mutuo lavoro” per le persone di mezza età che vengono sempre più spesso escluse dal mondo del lavoro perché non stanno al passo con l’evoluzione tecnologica, non riuscendo quindi ad acquisire le skill necessarie per continuare ad essere produttivi per la società. Altra ipotesi, l’istituzione di un sistema pubblico – privato che offrirà una sorta di mutuo a chi nella vita dovrà o vorrà fermarsi per sperimentare nuove strade. Il sistema di assistenza prevedrà ovviamente l’obbligo di restituzione: obbligherà i contribuenti a incamminarsi fin da giovani verso una vita di debiti, prima con la scuola a cui devono restituire il prestito d’onore del college e dell’università, poi con il mutuo per la casa e con l’assicurazione per la vecchiaia, infine con il mutuo che concederà loro il tempo di imparare un nuovo lavoro (meccanismo quello dei prestiti già particolarmente diffuso in USA).
Spunto interessante, ma credo che la vecchia Europa studierà qualcosa di molto più semplice ed efficace. Ad ogni modo, il tema è sul tavolo e nessuno si fa illusioni rispetto ai rischi sociali che l’automazione porterà con sé.
Lo stesso Bill Gates, a cui sicuramente non mancano competenze e sensibilità per intuire il quadro della situazione, ha lanciato una proposta che ha scosso i media: tassare i robot. L’ipotesi segue una tesi piuttosto lineare: se i governi dovranno affrontare inevitabili rischi sociali, per la cui risoluzione saranno necessarie ingenti risorse finanziarie, le tasse così raccolte andranno a costituire le risorse utili a chiudere positivamente questo processo di innovazione mondiale.
Secondo recenti stime, nel 2055 si arriverà ad un’adozione completa dell’automazione; nello stesso anno la Nigeria raggiungerà i 450 milioni di abitanti (lo stesso livello degli Stati Uniti) e avrà una curva della ricchezza ridicola, in cui lo 0,01% della popolazione deterrà l’intera torta, mentre al resto della popolazione non resteranno che briciole.
Di fronte ad uno scenario di questo tipo, che ovviamente non interesserà la sola Nigeria, ma al contrario coinvolgerà diversi paesi africani, viene da chiedersi se abbia davvero senso investire così tante risorse nell’ottimizzazione del lavoro e nella sua automazione.
La dinamica cambia però notevolmente se ci si sposta nel ricco Occidente, dove il crollo demografico sta portando a una graduale diminuzione della manodopera disponibile; questo gap verrà colmato con la robotica, grazie alla quale i paesi occidentali potranno godere di una nuova crescita del PIL pro capite, stimata intorno al 2% annuo.
Un’ottima prospettiva per chi vivrà nella parte fortunata del mondo. Ma chi penserà a tutte quelle persone che si troveranno a vivere e crescere nell’altra parte, quella dove l’innovazione tecnologica toglierà un numero consistente di occasioni lavorative? Nessuno forse ha una risposta valida.
L’unica cosa certa è che il movimento ormai è in atto e gli interessi in gioco sono troppo elevati per essere fermati a beneficio di un valore più alto, di un benessere che non sia solo economico, o per lo meno, che non riguardi, come sempre, una piccola parte di privilegiati.
Se ci fosse un governo sovranazionale, con poteri decisionali di ampio respiro, terrebbe forse conto di questa enorme ingiustizia sociale e interverrebbe con politiche mirate a ridimensionare l’avanzata della robotica, per lo meno fino a quando il suo impatto non sia stato verificato e valutato positivamente anche per le popolazioni del Sud del mondo.
Impossibile saperlo, resta solo una certezza, per ora: in Africa vivranno circa 4 miliardi di persone, spettatori di un mondo che avanza. Resteranno a guardare o cercheranno di salire a bordo anche loro?