Nel campo dell’innovazione tecnologica e della robotica l’umanità si sta ponendo obiettivi che solo fino a qualche anno fa erano impensabili e che probabilmente verranno raggiunti prima del 2050.
Il mondo della robotica si sta evolvendo a grande velocità e si è ormai arrivati a creare dispositivi in grado di svolgere in maniera efficiente il lavoro manuale di migliaia di persone.
L’esperto Lin Wells, nel suo saggio “Better outcomes through radical inclusion” delinea un panorama piuttosto chiaro: «Il potere dei computer raddoppia ogni 18 mesi, in un anno e mezzo si avrà il 100% in più di capacità processuale; in 5 anni il 900% e in dieci anni il 10.000%».
Wells illustra inoltre come la biotecnologia stia cambiando velocemente, l’informazione, la robotica e l’intelligenza artificiale stiano divenendo onnipresenti, la nanotecnologia sia chiamata a influenzare una serie ampia di area commerciali, dai nuovi materiali all’immagazzinamento dell’energia e la stessa energia stia subendo cambi profondi, che a sua volta influenzeranno tutta la società (Bio, Robo, Info, Nano, Energy – BRINE in sintesi).
L’enorme potenziale tecnologico avanza dunque, e dovrà fare i conti con il flusso di persone in continua crescita. Cosa succederà in quel momento, è tutt’altro che scontato.
Pensiamo ad esempio al contesto delle baraccopoli di Nairobi, a Korogocho, dove la nostra associazione ha messo in piedi un programma di scolarizzazione che nel tempo è arrivato a sostenere più di 2.500 bambini l’anno.
Torniamo con i ricordi alla vecchia struttura scolastica, collegata al resto della baraccopoli da una strada che, per sorpassare il fiume Nairobi tra acqua inquinata e rifiuti, si serviva di un ponticello di legno. Proviamo a fare un confronto tra la situazione vissuta 10 anni fa e quella attuale, realizzando che nulla è cambiato: la strada è sempre polverosa, il ponte poco rassicurante; le auto non possono attraversarlo, è troppo stretto e incerto: le moto, invece, ci riescono, cariche all’inverosimile si fanno strada tra le persone in cammino, che in Kenya come nel resto dell’Africa, non mancano mai. Ai margini della strada la vita scorre lenta, senza grandi sconvolgimenti: centinaia di bambini giocano nella spazzatura e nell’acqua stagnante, allegri come solo loro sanno essere; le donne della comunità lavano i panni con l’acqua sporca raccolta dalle pozze; altre cercano di vendere, con successo altalenante, pezzetti di canna da zucchero; altre ancora cuociono in strada il chapati, la loro tradizionale piadina; alcune venditrici ambulanti si impegnano nella vendita di qualche verdura avvizzita dall’umidità e dal caldo. Gli uomini, seduti sui gradini di fortuna delle case che si affacciano sulla via, guardano nel vuoto, in silenzio, sembra quasi siano in attesa.
Queste persone non sanno nulla dell’innovazione “BRINE”: da dieci anni guardano la vita che scorre senza sapere che, altrove, la robotica e la nanotecnologia stanno per cambiare il mondo. Non sanno che alcune élite già immaginano di raddoppiare la durata media della vita puntando a festeggiare i 150 anni di età; ignorano il fatto che Google abbia già predisposto investimenti, strutture, intelligenze artificiali per cercare di raggiungere questo obiettivo. Questa umanità non immagina che entro il 2050 la popolazione africana raddoppierà, e che continuerà a crescere. Non sanno che tutte queste nuove persone, la popolazione del futuro, si andrà a concentrare negli slum, rendendoli ancora più invivibili.
In realtà, fino a qualche mese fa, la situazione non era chiara nemmeno a me. Pensavo, o forse speravo, che l’Africa avrebbe trovato il suo spazio nel mondo globalizzato, con qualche investimento in più nel settore educativo e tanti giovani in età lavorativa. Immaginavo che al grido “delocalizzazione” le imprese occidentali, soprattutto quelle europee, sarebbero state pronte a trasferire le loro realtà produttive nei paesi africani, spinte dalla necessità di ridurre il costo del lavoro, come del resto già avevano fatto, qualche decennio prima, interessandosi ai paesi dell’est Europa e dell’Asia. Nel continente africano la forza lavoro era pronta, forte, giovane. L’educazione stava migliorando, il quadro era perfetto e l’Africa era pronta a prendersi la sua fetta di globalizzazione.
Nella realtà, però, qualcosa stava silenziosamente cambiando le regole del gioco: la robotica.