La storia africana degli ultimi decenni è piena di casi in cui il meccanismo si ripete: uomini di potere che accentrano il comando e le ricchezze nelle mani di pochi, una distribuzione estremamente sproporzionata dei benefici derivanti dalla svendita delle risorse naturali dei singoli paesi, una popolazione locale in difficoltà, il livello di povertà che non dà segni di riduzione, una forte corruzione alla base del sistema politico.
Secondo le stime dell’Economist, ad oggi, in Africa esiste una sola e vera democrazia compiuta: le Mauritius, piccolo paradiso terrestre nel mezzo all’Oceano Indiano.
La classifica politica e di buon governo dell’Economist, che prende in esame la capacità di avere un percorso elettorale valido e riconosciuto, le funzionalità di governo, la partecipazione politica, la libertà di cultura e le libertà civili, rileva i paesi africani in una situazione particolarmente penalizzata. Se l’Italia si posiziona al 21°posto, il Congo si trova al 159°, il Kenya al 92°, già piuttosto avanti rispetto alla media dei paesi sopracitati.
Sempre secondo le stime dell’Economist, su 44 paesi appartenenti all’Africa Subsahariana, ben 22 sono considerati regimi autoritari.
Ma al di là delle classifiche, basta osservare con attenzione alcune dinamiche locali per rendersi conto di quanto la democrazia sia in grave pericolo nel continente africano.
Molti paesi, dall’East al West Africa, cominciano ad allinearsi alla modernità e alla democrazia, pur con tutte le limitazioni tribali e religiose che li attraversano. Botswana, Namibia, Ghana e Mozambico cercano faticosamente di migliorare il loro livello di democrazia e partecipazione, e lentamente sembra che qualcosa stia cambiando.