Il continente nero colpisce politicamente l’Italia.
Il successo di Salvini al Nord e in parte del M5S al Sud è soprattutto figlio delle paure delle migrazioni, della presenza degli immigrati agli angoli delle strade delle città, della temuta concorrenza sul lavoro.
Per la prima volta, dalla famosa nave del 1989 in cui 20.000 albanesi sbarcarono nelle Puglie, la migrazione ha avuto un vero ruolo politico. E questo è avvenuto senza che i partiti dell’establishment se ne accorgessero e senza che l’Europa prendesse sul serio i timidi timori dei nostri governi, nonostante Minniti.
La migrazione, specie africana, che è ancora limitata rispetto ai numeri che arriveranno, è divenuta la miccia dell’insofferenza e il detonatore della rivolta.
Qualche milione di italiani in questi anni ha dovuto subire la pressione e la morsa della globalizzazione, divenendo più povero nel reddito e più incerto sul suo futuro. La nostra classe media ha quindi dovuto pagare il conto dello sviluppo dell’Asia in un mondo che non riesce a crescere. Come nei vasi comunicanti, quando l’Asia “sale”, altri “scendono”. E molti italiani sono scesi.
Ma ciò che ha accresciuto le paure, comunque legittime e presenti nel tessuto italiano, – e che sono venute allo scoperto con le elezioni – è plasticamente rappresentato dalle migrazioni di povera gente che sfugge a realtà mille volte peggiori della peggiore condizione di un italiano.
Ma tant’è.
Questo fenomeno, che è globale, ha dato prima il via libera a Trump, poi alla Brexit, poi ancora agli abbracci innaturali tra sinistra e destra in Germania e in Spagna.