ABIDJAN. Una possibilità di crescita per tutti o un incubo per l’Europa?
novembre 29, 2017
Oggi un pezzo d’Europa, rappresentato da grandi personalità, primi ministri e ministri degli esteri, si troverà in Costa d’Avorio per discutere con altrettanti rappresentanti dell’Unione Africana a proposito dello sviluppo dell’Africa e, soprattutto, dei suoi giovani.
La notizia è di per sé buona. Le carte sul tavolo lo sono meno.
Con un titolo potenzialmente ottimista (“Si parte da 44 miliardi”), la scorsa domenica La Repubblica ha dedicato una seconda e una terza pagina al tema, informandoci del fatto che sul tavolo concreto degli aiuti l’Unione Europea porterà due fondi: l’Africa Trust Fund e il Fondo di Investimenti Esterno.
Il primo di 3,2 miliardi (meno di quanto Bill Gates spende in un anno da solo in Africa!), il secondo di 3,4 miliardi, che la testata indica come una base su cui far leva con gli imprenditori (?) per poterlo portare a 40: un inizio di piano Marshall per l’Africa, che la Merkel avrebbe evocato.
Senza commentare nel dettaglio i dati, a mio parere poco credibili, l’unico aspetto realmente positivo è una volontà che sembra essere alla base di questa decisione della UE: bisogna tornare ad “investire” sull’Africa.
I segnali sono tanti.
Queste due pagine su Repubblica e il fondo di Bellasio sono importanti. Il satellite di Sky trasmette spesso nella finestra del suo tg serale dedicata al mondo alcune notizie sulle sventure dell’Africa, senza bisogno che ci sia una notizia particolare su cui creare dibattito o indignazione.
Insomma, se ne comincia a discutere davvero.
Però parliamoci chiaro: l’Europa è realmente legata politicamente all’Africa e il futuro dell’Africa non è così roseo né così distante come molti politici, economisti e giornalisti spesso riportano.
Non è roseo per via dell’aumento demografico che porterà la popolazione africana prima a 2, 5 miliardi nel 2050 e poi a quasi 4 miliardi e 300 milioni di persone nel 2100: 4 su 10 abitanti del pianeta saranno infatti africani, insieme a 4 asiatici, 1 sudamericano e 1 bianco.
Non lo è per la sua povertà infinita, per le sue città invivibili, per uno sviluppo economico inadeguato, per una disoccupazione endemica (specie giovanile) e per una politica inefficiente e corrotta, in un continente che è invece ricco di materie prime, ricco di terreno arabile, ricco di sole, acqua e vento, ricco di una capacità tecnologica vivace e ricco di una grande umanità.
Detto in parole povere: se crolla il continente nero, se non ce la fa, trascina con sé anche l’Europa, politicamente parlando.
Due problemi sui tanti dell’Africa interessano direttamente Europa e Italia: le migrazioni, che oggi sono ancora banali ma che si intensificheranno di molto nel prossimo futuro, e il terrorismo, che, a causa della povertà, potrà manifestarsi in realtà nuove e incontrollabili.
Non ci vuole un grande pensiero politico per capire che se non ci occupiamo di aiutare a portare e produrre velocemente ricchezza in Africa, l’incubo potrebbe essere inevitabile.
E dobbiamo portarla e produrla come fa la Cina: realizzando lavori e strutture impiegando gente locale e, per contro, comprando le loro materie prime.
Non so se oggi si metteranno le basi per un lavoro comune e solido, comunque i soldi messi sul tavolo sono veramente ridicoli rispetto all’enormità del problema e il timing, temo, troppo lento.
Non c’è più molto tempo.
E sono così preoccupato di questo che ho scritto un libro, “Exploding Africa”, appena uscito, che verrà riportato su questo blog a partire da oggi: i temi del libro saranno qui presentati e commentati nella speranza che servano ad accelerare il dibattito che si sta aprendo.
Leggendo il libro si avrà la possibilità di capirne le tendenze future che impattano in concreto e politicamente sull’Africa, ma anche sull’Europa e soprattutto sull’Italia.